ACoFE – Associazione di Counseling Fenomenologico Esistenziale
Il Counseling fenomenologico esistenziale si basa su un principio essenziale: ogni essere umano possiede dentro di sé le risorse necessarie per affrontare il proprio percorso di vita. Tuttavia, in alcuni momenti, queste risorse hanno bisogno di un contesto favorevole per emergere e manifestarsi.
Nella relazione d’aiuto tra Counselor e cliente, il dialogo diventa strumento di esplorazione e cambiamento. Attraverso la comprensione profonda del sentire, dei pensieri e delle scelte, il cliente è incoraggiato a entrare in contatto con le proprie emozioni e a riflettere sul proprio modo di vivere, trovando nuovi spunti per affrontare le difficoltà e prendere decisioni consapevoli.
“Aiutare ad aiutarsi” significa offrire sostegno senza sostituirsi, creare uno spazio di ascolto autentico e non giudicante in cui la persona possa riconoscere il proprio potenziale.
È un percorso che valorizza l’autonomia, il rispetto e la capacità di ciascuno di trovare le proprie risposte.
Nel Counseling fenomenologico esistenziale, la relazione tra Counselor e cliente si basa su fiducia e ascolto. Il Counselor si pone come un alleato che accompagna il cliente in un percorso di esplorazione e comprensione del proprio vissuto. Non si tratta di dare consigli o soluzioni, ma di facilitare una maggiore consapevolezza e chiarezza interiore.
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Quando guardo il mondo, sono ottimista.
Quando guardo le persone, sono fiducioso.
Carl Rogers
Il Counseling è un’attività professionale basata sulla relazione d’aiuto, finalizzata a sostenere le persone nel riconoscere e valorizzare le proprie capacità e risorse, affrontando le sfide della vita con maggiore consapevolezza e senso di direzione.
L’intervento del Counselor, basato sull’approccio fenomenologico-esistenziale, si propone di accompagnare individui, gruppi e organizzazioni in percorsi di crescita, consapevolezza e sviluppo delle proprie risorse.
Il Counselor lavora attraverso una relazione basata sull’ascolto attivo e la presenza empatica, favorendo il cliente nel riconoscere nuove prospettive e nel generare soluzioni alle proprie sfide. Ogni intervento rispetta l’unicità e l’autonomia del cliente o del gruppo.
In conformità con le disposizioni legislative e normative italiane (legge 4/2013 per le professioni non organizzate in ordini o collegi), il Counselor a orientamento fenomenologico-esistenziale, al fine di aiutare le persone a migliorare la propria qualità di vita, può esercitare la propria attività in ambiti non terapeutici, quali:
Il Counseling, regolato dalla Legge 4/2013, non comprende attività riservate ad altre professioni regolamentate. In particolare, non si occupa di:
L’approccio fenomenologico-esistenziale, che rappresenta il fondamento teorico dell’Associazione, sotto il cui cielo si raccoglie il “mondo” di ACoFE, si caratterizza per una prospettiva centrata sulla persona, orientata a comprendere l’esperienza vissuta senza pregiudizi né interpretazioni precostituite. Il Counselor, attraverso questo approccio, assume un ruolo di “testimone” dell’esperienza del cliente, rispettandone la visione del mondo e i valori personali. Il percorso fenomenologico si sviluppa mediante un ascolto attivo e una presenza empatica che consente al cliente di esplorare il proprio vissuto in modo spontaneo, senza pressioni esterne.
L’approccio esistenziale si basa sulla valorizzazione delle scelte individuali, della responsabilità personale e del significato che ciascuno attribuisce alla propria esistenza. Il Counselor, dunque, supporta il cliente nella ricerca di un senso alla propria esperienza di vita, aiutandolo a riconoscere e a gestire le proprie risorse in modo consapevole.
L’approccio fenomenologico-esistenziale nel Counseling è quindi in sostanza un metodo che pone al centro della relazione d’aiuto la comprensione dell’esperienza vissuta dal cliente in maniera diretta e autentica. Questo approccio si basa su due pilastri filosofici: la fenomenologia, che mira a esplorare l’esperienza soggettiva e diretta della realtà senza preconcetti, e l’esistenzialismo, che valorizza la responsabilità, la libertà e la ricerca di senso dell’individuo.
L’obiettivo principale di questo approccio è aiutare il cliente a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie emozioni e del proprio vissuto, così da poter esplorare nuove possibilità di significato e direzione nella propria vita. Tra i benefici di questo approccio troviamo:
L’approccio fenomenologico-esistenziale nel Counseling, in conclusione, è un metodo profondamente umano, che mira a fornire un contesto sicuro e privo di giudizio in cui il cliente può esplorare e comprendere la propria esperienza di vita. Questo approccio, attraverso l’ascolto empatico e la sospensione del giudizio, permette alla persona di ritrovare la propria autenticità, di prendere decisioni consapevoli e di affrontare le sfide esistenziali in modo resiliente e significativo.
La Fenomenologia, come metodo e approccio, la possiamo definire “Scienza del Come”: del come l’io, in quanto soggetto inserito sempre in un contesto, è in contatto con il vissuto dell’esperienza che va facendo e il come questa esperienza si manifesta e si dà al soggetto stesso, che dà forma così alla propria esistenza.
L’approccio fenomenologico-esistenziale fa vedere in che modo ognuno costituisce il mondo, come partecipa e come si relaziona a tutte le cose del mondo. Permette di fare esperienza del proprio corpo, del proprio sentire, di rimodulare via via le esperienze di vita e vedere come mutarle per raggiungere un accordo con sé.
Questo approccio rende possibile il contatto con ciò che esiste e con l’inesistente, permette di accorgersi che molte volte le cose non sono come crediamo, di descrivere il vissuto e le relative esperienze senza farle cadere nell’oblio, e rifondarle anche nel ricordo.
Vedere fenomenologicamente è uno stile di vita che implica una continua e rinnovata descrizione di tutto ciò che si rivela nel fluire delle esperienze di mondo. Al tempo stesso la fenomenologia è una pratica di vita, è un’Etica.
La prima mossa del counsellor che segue questo approccio è la messa tra parentesi di ogni norma, sapere già costituito, regola universale, mossa che consente di “andare alle cose stesse” che il vissuto della persona esprime.
Ponendo il mondo già significato tra parentesi, lo sguardo di chi lo guarda lo sperimenta in un altro modo: non il mondo come già dato, ma gli aspetti particolari del mondo che io in quanto soggetto tocco, vedo, odo e a cui attribuisco senso e scopo. In quanto soggetto sono lo strumento attraverso il quale il mondo può diventare vero. E allora devo vederlo come appare a me e DESCRIVERLO, farlo diventare rivelazione, Fenomeno. Piuttosto che il mondo già significato, cristallizzato da altri, occorre allora risvegliare in noi l’intenzione di partecipare alla creazione di un nuovo senso per un’umanità che tenga conto delle differenze proprie e dell’altro.
Quello che chiamiamo “il senso della nostra vita” è appunto “un senso” perché si muove da una vita inautentica verso una vita diretta, a una vita più nostra. “Più vivere” e non un “mero vivere”.
È riconosciuta in Italia come nuova professione il Counselling, un termine che si riferisce a ogni tipo di relazione di aiuto. Sul piano esistenziale si relaziona a forme di aiuto non indirizzate alla cura di disturbi, cioè non orientate alla risoluzione di sintomi: si tratta dell’aiuto a sviluppare le risorse latenti delle persone, in funzione di un miglioramento delle relazioni e quindi della qualità della vita.
Il counsellor è un’operatore d’aiuto per quelle situazioni che hanno a che fare con lo sviluppo qualitativo delle relazioni umane, da quelle professionali a quelle interpersonali fino a quelle con se stessi. Il concetto di relazione d’aiuto si può intendere in varie maniere naturalmente: una è quella dell’aiuto attraverso la relazione, in cui la relazione appunto fra operatore e cliente è paradigma relazionale, la cui qualità funziona come esempio per le altre relazioni. Altra implicazione possibile è che si tratti di aiutare ad aiutarsi: l’operatore in questo caso avrebbe una funzione di catalizzatore di avvenimenti interni, e non di supporto per capacità mancanti.
Il Counselling ha una funzione culturale di primo piano nella società moderna: mentre la tradizionale rete sociale costituita dalle famiglie allargate si riduce progressivamente, come effetto della famiglia nucleare che si appoggia preferibilmente ai servizi sociali, non esiste granché di alternativo che contenga e veicoli le comunicazioni fra estranei. Non c’è abbastanza cultura politica o religiosa, né sufficienti movimenti sociali e pochissimo associazionismo laico che possano mediare la distanza fra le persone: le tradizioni sono diventate rapidamente obsolete, e i maggiori poli aggreganti sono le discoteche, dove il rapporto fra le persone è mediato tutt’al più dalla musica, e pochissimo dalla parola. I gruppi in cui si raccolgono i giovani sul piano relazionale sono in genere primitivi, e in sostanza non è disponibile un sistema di comunicazione veramente differenziato su cui fare conto.
Il Counselling si inserisce in questo vuoto culturale come una risorsa e una possibilità di ricerca e di sviluppo organici ai bisogni emergenti, che oltre ai rapporti sociali interessano anche quelli professionali: sono infatti diventati difficilissimi i rapporti per esempio fra insegnanti e alunni, o quelli fra medici e pazienti: una volta caduto il mito dell’autorità, questi professionisti sono diventati per l’interlocutore delle persone qualunque, con ben poca credibilità. Uno sviluppo delle capacità di comunicazione è di importanza centrale per queste professioni, e in genere per tutte quelle che trattano con il pubblico attraverso una relazione differenziata.
L’approccio fenomenologico esistenzialista non è un pensiero che ha bisogno di essere riconnesso con l’esperienza: è un pensiero difficile da capire proprio perché è esperienziale, e non ha la scorrevolezza del pensiero astratto. Ma quando si entra in contatto l’esperienza, allora il pensiero fenomenologico diventa immediatamente comprensibile, perché è fisiologico a quello che succede ed è quindi facilmente percorribile, in quanto qui non c’è distanza fra prassi e teoria. La teoria è infatti prassi concettualizzata, è un modo di parlare intorno a qualcosa che si sperimenta e dove l’esperienza trascende gli oggetti.
Counselling significa relazione d’aiuto, e il concetto di “relazione d’aiuto” si riferisce a ogni tipo di professione che implichi aiuto attraverso la relazione: il Counselling riguarda tutte le forme di aiuto operatore-cliente, ad eccezione di quelle indirizzate alle patologie, cioè orientate alla risoluzione di sintomi, che sono appunto la connotazione per definizione della patologia. Il Counselling è aiuto a sviluppare le risorse potenziali delle persone, in funzione di un miglioramento delle relazioni e della qualità della vita. Il counsellor è un operatore d’aiuto per tematiche che hanno a che fare con la qualità delle relazioni umane, da quelle professionali a quelle interpersonali, fino a quelle con sé stessi.
Il concetto di relazione d’aiuto si può intendere in varie maniere: una è aiutare una persona con un apporto significativo dall’esterno, un’altra è aiutare una persona ad aiutarsi: l’operatore in questo caso assume la funzione di catalizzatore, cioè di chi supporta lo sviluppo di avvenimenti interni e non di sostituto di capacità mancanti. Per aiutare ad aiutarsi attraverso la relazione si intende poi che la relazione fra operatore e cliente diventa modello relazionale, le cui caratteristiche funzionano come esempio per le altre relazioni.
Questa definizione ha varie implicazioni: il counsellor non detiene una conoscenza che è un potere sul cliente. La conoscenza di ambedue ha uguale validità, ed è solo perché il cliente chiede l’intervento del counsellor che questo può intervenire proponendo punti di vista diversi, allo scopo di facilitare i cambiamenti richiesti dal cliente. Se il cliente non li accetta, non significa che sbaglia: ha il pieno diritto di ritenere più adatti i suoi punti di vista. Naturalmente anche il counsellor ha il diritto di mantenere i suoi punti di vista, e di dichiararsi incapace di intervenire alle condizioni del cliente.
Per “aiutare attraverso la relazione” il counsellor deve essere in relazione, ossia deve riconoscere di stare nel campo dove si trova il cliente (teoria del campo di Lewin), di essere in relazione empatica con il cliente, di partecipare insomma all’esperienza che sta facendo il cliente. Il counsellor è un professionista pagato dal cliente, che non ha nessuna voce in capitolo nella vita del cliente se non nei termini richiesti dal cliente. Su richiesta può fornire opinioni, ma si ritiene in genere deontologicamente non corretto che fornisca consigli, anche se richiesti.
In ognuno è sempre attivo un flusso di pensieri e di emozioni, a volte contrastanti, di cui spesso nemmeno ci si accorge: compito del counsellor è aiutare il cliente a riconoscere ed accettare queste sue diverse parti e far sì che imparino a dialogare e a comprendersi. In questo modo le parti, per quanto molteplici e complesse, da una parte prendendo forma possono entrare in contatto con il mondo esterno, dall’altra, proprio perché hanno forma, diventano materiale di scambio nelle relazioni: cioè in definitiva le persone hanno qualcosa da dirsi. La più significativa capacità di aiutarsi dell’essere umano è qui considerata la creatività: un compito fondamentale del counsellor è di promuovere nel cliente l’attivazione della creatività, che qui si intende come una attitudine naturale, contingentemente ipotrofica ma potenzialmente disponibile per tutti.